To live in the Present Tenso

La tensostruttura, fin dal suo primo vagito: tutto, le si poteva dire, tranne che fosse bella. Un’escrescenza, una protuberanza artificiale del castello, ad esso appiccicata. I castiglioncellesi, celebri censori dell’Universo, ne hanno dette di tutti i colori, sulla congruità e sull’estetica dell’oggettone. Però, esprimeva una volontà precisa: rendere possibile 1) determinate forme di spettacolo (con una certa capienza, un certo know-how tecnico etc), 2) renderle possibili anche in caso di pioggia, d’estate, 3) renderle possibili d’inverno, 4) diventare realmente una continuazione del castello armunizzato – perciò, orientato al teatro e alla danza d’avanguardia – trasformandosi in struttura duttile a seconda dello spettacolo: palco intero, solo una parte, e così via.14233247_624116504421559_6414557865769546740_n

In generale il mondo occidentale, e quindi figuriamoci l’Italia, e quindi strafiguriamoci Castiglioncello (!), soffrono la mancanza di direttrici precise. Spesso sbagliate, o giuste ma al prezzo di contraltari mostruosi, la fine dell’era ideologica ha creato un buco che non si è saputo ancora colmare. Così, Castiglioncello non è adesso orientata verso un turismo specifico, è un essere a due-tre teste con un volto sempre mastroiannesco, un altro da famigliola che fa il week-end touch & go, un altro ancora casuale, random. Ne soffrono molto i giovani, per i quali c’è pochissimo, se si esclude l’Astragalo. E Lo smantellamento della tensostruttura, nonostante non fosse bella, peggiora la situazione.

Innanzitutto, perché di fatto toglie il luogo simbolico d’incontro a esperienze teatrali uniche nel loro genere; poi, toglie la possibilità, tranne che d’estate, di organizzare concerti o quant’altro – magari, proprio per attirare i giovani. Se la Pro Loco Castiglioncello, in un guizzo d’intelligenza, volesse organizzare un festival invernale attraente per i ragazzi, con un po’ di indie, di rock, di avanguardie elettroniche, dove lo potrebbe fare? Il Comune, so che risponderebbe: «Ma bisogna pensare in modo più riferito a tutto il territorio» – brrrrrrr, questo termine! Che freddo fa, come direbbe Nada! – ovvero: lo puoi organizzare al Teatro Solvay. Ma allora riguarderebbe la Pro Loco di Rosignano! Insomma, senza tenso, a Castiglioncello sarebbe LETTERALMENTE impossibile; almeno finché il Tennis, che ha una nuova gestione ufficialmente per la durata di 49 (quarantanove) anni, non possa costruire, come dovrebbe essere in programma, i campi al chiuso; cosa che non renderebbe certo un concerto invernale che preveda più di… trenta persone!, perché il Tennis potrebbe non essere d’accordo; ma per lo meno lo renderebbe possibile in linea di principio (anche se non facilmente, perché la terra rossa andrebbe coperta).

Ciò che è sempre stato un vantaggio tacito, in quanto parte del suo carattere, di Castiglioncello – l’essere confetto, cioè dotato di varie situazioni, ma piccole: la Baia del Quercetano è lo spazio spiaggia/mare più grande che abbiamo, ma non è così grande; luoghi per sagre, non ce ne sono; se si vuol fare una qualsiasi manifestazione, si devono chiudere delle strade, per forza – gli si sta rivoltando contro. Perché per contrappasso di questa particolarità, c’era un luogo che poteva raccogliere un determinato numero di persone e permettere un determinato tipo di spettacolo. Ovvio, che andava smantellata, la tenso, perché è inagibile; ma forse sarebbe stato meglio rinnovarla una decina d’anni fa, così l’avremmo ancora, no?! Parlare del passato, comunque, non  è interessante; in ogni caso, bisogna rendersi conto di questo: se non verranno trovate soluzioni che ad oggi non esistono, a Castiglioncello sarà IMPOSSIBILE organizzare qualcosa che preveda più di un centinaio di persone: quelle che, ad esempio, c’erano in Limonaia, a febbraio 2016, per l’omaggio dei musicisti di zona a David Bowie, organizzato dalla Comunità virtuale Ranauottolo; quelli che può contenere la sala conferenze del castello Pasquini (che nel 2017, anche se non si sa da quando, verrà restaurato, perciò anch’esso uscirà per un po’ dalle disponibilità); rimangono dunque i privati, e sono pochi quelli con una capienza da cento persone (il Tennis, La Limonaia, Il Cardellino, il Caffé Ginori; il Dai Dai, per la particolare conformazione, probabilmente non è già più adatto: e in tutti questi luoghi, cento persone riempiono completamente lo spazio, creando una situazione non così confortevole). Questo è quanto. Io non sono contento che a Castiglioncello non si possa organizzare, ad esempio, un bel concerto a gennaio: tutto qui. Perché secondo i programmi comunali, la tenso non sarà sostituita da una sorellina più giovane, ma da un’arena; cioè, qualcosa che è utilizzabile solo d’estate (e tralasciando per ora il fatto che, per sua natura, un’arena si presta a tipi di eventi più commerciali, escludendo a priori chi voglia anche altro, oltre – giustamente – a cose appetibili ai più).

Una scorsa di artisti che hanno portato il loro spettacolo alla tenso, per dare un’idea: e la scorsa è casuale, a memoria: Renato CarosonePaolo ConteStefano BollaniJan GarbarekStefano Allevi (bleeeh! Però ok, è famoso!) – Piero PelùDaniele SilvestriCarla FracciMaurice BéjartFranco LoiBobo Rondelli Federico FiumaniMischa van HoeckeAldo, Giovanni e GiacomoMassimo CastriRenato ZeroRoberto Benigni – e non lo so, di sicuro ne ho scordati a bizzeffe. Altrettanto di sicuro, penso che molti rimarranno sorpresi da questa sfilza di nomi, e sapete perché?! Perché siamo disattenti, sedentari; e, forse, (pardonnez la malizia, ma sono di Castiglioncello anch’io) qualcosa ci ha detto di snobbarlo, quando è stato qui, Zero; poi, magari, siamo accorsi a Firenze per vederlo, l’anno dopo; ma lì per lì, ci si dice che sarà per un’altra volta. E poi, perché – ma questa è mera questione di soldi – i Benigni e i Conte ce li siamo potuti permettere (Armunia, Comune, o X) poche volte. Il punto focale è però la possibilità: senza tenso, questa possibilità non c’è più. Sarebbe invece adeguato trovare la formula, a Castiglioncello, perché ci sia qualcosa che, in linea di principio, se Paolo Conte impazzisse e dicesse: «Voglio suonare gratis a Castiglioncello!», noi potremmo dirgli: «Ok, avvocato! Piazzati lì!». That’s all (folks).

La Corazzata Potemkin contro Panariello (e viceversa), ovvero: la SPETTACOLAZIONE di Armunia

Luglio 2016. Un ex-snob della tecnologia come me si sorprende ancora di come essa possa far fruttare, a volte, qualcosa dal punto di vista umano. La fredda cronaca: su Facebook, la signora D scrive che il cartellone di Armunia a Castiglioncello (Inequilibrio: teatro e danza, o teatro-danza, d’avanguardia – se vogliamo usare le solite definizioni strette) è brutto, o non avvincente, o non attrattivo. Volutamente, per gioco, ho scritto nel titolo il termine spettacolazione: il termine che rende puro Mercato tanto Van Gogh quanto il grande teatro, Vivaldi e così via, appianandoli allo stesso livello di Panariello, che qui vale solo come esempio di ciò che è invece attrattivo (potrebbe essere qualche nome musicale o, semplicemente, qualcosa di rilassante, che non spaventa; niente da dire sulla professionalità di Panariello, che peraltro fa molto bene, con garbo, ciò per cui guadagna). Eccoci: ho scritto allo stesso livello. Serate di serie A e di serie B, dunque?! No, santi numi! Sono specie diverse! Non si può stabilire se è meglio il delfino o il gatto. Ognuno assolve (semplifichiamo) ad una funzione. Poi, forse il delfino ha pensieri più elevati del gatto, tocca corde profonde dell’anima col suo squittio marino? Beh, fa parte delle caratteristiche della sua specie. Ma il gatto fa stare bene le mamme i cui figli sono ormai fuori casa, e si ricava piacere dall’accarezzarli? Stesso discorso. E anche il gatto può portare a riflessioni importanti!

Ma entra in gioco il signor M, a difendere l’offerta teatrale di Inequilibrio. A parer mio, non cercando di far capire che molto di ciò che è definito teatro d’avanguardia può essere divertente (come l’Amleto di De Summa, il Sandokan dei Sacchi di Sabbia o Pasticceri di Capuano/Abbiati; i lavori di Timpano, di Romagnoli, certe attitudini surreali di Civica o il viso di Ventriglia– nomino, per chi non lo sa, alcuni di coloro che hanno reso grande Inequilibrio in 20 anni di vita). Facendo riflettere, com’è d’obbligo scrivere! Ma con levità. O possono proprio far schiantare da ridere, come Cosentino, gli stessi Capuano, Abbiati e Ventriglia. Poi, il teatro d’avanguardia può essere emozionante come un gol nella finale di Champions per un appassionato di calcio, o il bacio d’amore che sigilla l’happy end dei film che amano le signore D, che vogliono rilassarsi, quando sono in vacanza; basti pensare al Moby Dick di Abbiati, che dovrebbe fare il giro nelle scuole di tutta Italia, per regalare l’esperienza unica che ogni volta riesce a dare. Al Marat-Sade di Lupinelli. Ai lavori di Serra con Teatropersona, poesie visive in scena; la danza della Bertone, o della Giordano. E poi ancora, sì! Ci sono anche spettacoli (magari per me belli, o anche molto più che belli) che potrebbero rappresentare ciò che intimorisce della definizione Teatro d’avanguardia: basti pensare a certe tirate dialettiche della Calamaro o a Fratello con paesaggio rotto del Teatro Valdoca. Per me è un lavoro eccezionale, ma se non ammettiamo che non è di facile comprensione, ci prendiamo per il culo!

No; il signor M si fa esempio della chiusura a riccio di questo mondo complesso che potrebbe essere accolto da tutti, con un po’ di calma; scrive alla signora D che non ha mai provato a vedere uno spettacolo di Armunia perché ha dei pregiudizi. Poi, il dialogo degenera, si arriva ai vari Dove finiscono i soldi? dei carrozzoni sbilenchi come è stato Armunia in questi anni: da un lato amato, dall’altro odiato dal Comune. Troppa ambiguità. Io vorrei rimanere sul punto focale: sul possibile incontro fra il signor M e la signora D, che mi perdoneranno per come li sto schematizzando al fine di rendere chiaro un concetto.

Io vorrei organizzare un incontro, proprio reale (anche perché fino a pochi giorni fa l’aria odorava ancora dello splendido esercizio di democrazia dell’assemblea pubblica sul destino della Villa Celestina – argomento che non ho certo scordato! Il mio progetto è pochi articoli sotto, e la raccolta firme per avallarlo sta continuando – in cui il Comune è stato definito anche come una mamma! …Mamma mia!!! Io, invece, vorrei sapere che cosa ne pensa l’assessore Nocchi; sapere come continua il tentativo di riprendersi l’edificio; sapere se sottobanco c’è già un accordo per qualcosa di velocemente remunerativo: allora si potrebbe cominciare a parlare di esercizio di democrazia; magari, lasciando ancora un po’ le mamme fuori!). Vorrei organizzare un incontro perché questo argomento è annoso.

Perché il signor M e la signora D hanno torto entrambi. Da una parte (M) io credo (e considero amico, chi lavora per Armunia) che Armunia non abbia voluto comunicare alla gente che si facevano cose belle, trincerandosi, se non volontariamente, ma nei fatti: sinossi degli spettacoli impossibili da capire (certo, sono quelle che vengono mandate dalle compagnie! Ma Armunia dovrebbe essere il tramite fra le complessità e la gente, no?! Per il Castiglioncello SUMMERTIME Festival, a cui collaboro con piacere, il 6 agosto ci sarà Danilo Rea, una star internazionale. Il suo spettacolo si chiama e si deve chiamare Something in our way; ma tutti troveranno scritto, in modo da non dar noia all’artista, che quel titolo significa fare un omaggio ai Beatles e ai Rolling Stones, per chiunque non colga la citazione – Something, Beatles; di Harrison, per la precisione – del titolo della serata!). E poi  la  solita claque, senza cercarne di nuova, dimenticandosi che Giotto (Zeichen, poeta scomparso da poco il quale è stato ospitato da Armunia per ottimi  Festival di poesia, avrebbe detto molto meglio di me dell’importanza della commissione!) si faceva commissionare le opere: cioè, che chiunque sia dentro o accanto a un’espressione artistica deve rispondere al mondo; e che se offre qualcosa di bello ma difficile, è sempre e comunque spettacolo, che non è una parola brutta. Un concerto di Conte o quelli che faceva Paganini, l’Orlando Furioso di Ronconi o i vari Arlecchini costruiti da Strelher, i Pinocchi di Bene, la danza di Nureev, sono spettacolo: chi se ne è scordato è diventato complice di un sistema semplificatorio che vede nell’artista qualcosa di intoccabile (fattore che esiste, nella Storia dell’umanità, sì e no da 150 anni scarsi).

E credo che, in generale, non si sono fatti molti sforzi per uscire da quella dimensione che fece illuminare il genio di Villaggio, con il suo fantozziano, memorabile, sacrosanto: «Per me, La Corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca!» (92 minuti di applausi): un grido disperato per l’eccessivo e autoreferenziale equivoco per cui cultura dovrebbe far rima con due palle così! La sinistra storica, tenutaria di questo biglietto da visita ambiguo, ha reso ciò che era davvero culturalmente elevato una formuletta istruttiva, cacciando a calci in culo i veri intellettuali come Pasolini dal partito, per poi riappropriarsene da morto. Arrivati alla fine delle ideologie, si è rimasti vittime di tale brutalizzazione, in cui la Sinistra era la cultura, con vessilli furbetti tipo Fazio; e la Destra, schiavizzata da Berlusconi, non ha fatto niente per non dare di sé l’immagine della sua differenza rispetto a quei rimasugli delle Sinistra: è diventata quella che ama la discoteca e le scappatelle: fu fantastico quando, per le elezioni a Milano, Vecchioni e altri fecero il concerto a favore di Pisapia, e al concerto per la Moratti c’era Alexandra Stan, quella di Mr. Saxobeat! Epocale! Non poteva, la Destra, rivendicare il genio assoluto di Gadda, far conoscere Stirner o Eliot??! E questa, capitelo, non è una divagazione storica; è semmai il motivo storico principale per cui c’è questa divisione fra signori M e signore D. L’intero assetto sociale e politico ci ha regalato la divisione netta e l’antipatia reciproca fra chi ama Panariello e chi il film impegnato. Io, ho i miei gusti; ma so apprezzare sia la Festa del Pesce che la spettacolaz… – pardon! – l’offerta teatrale di Inequilibrio. In modi diversi, certo. E non sono pazzo o una mosca bianca! Non mi sono fidato – tutto lì – di una schematizzazione tanto becera; di un dualismo tanto ottuso.

Veniamo all’altra parte (D). Mi ricordo quando facevo il locandinaro per Armunia (mi definivo “Il più grande locandinaro della Costa Etrusca“!); appendevo dentro un negozio qualsiasi il manifesto e un attimo dopo il gestore del negozio diceva qualcosa tipo: «Ma chi sono questi?! O che roba è?!  Ma quand’è che chiamate Bergonzoni, Paolo RossiPanariello???!!!». Regolare come un orologio svizzero, quella frase! Io dicevo di provare, di andare a vedere prima di giudicare, in modo garbato, per quanto mi riusciva, cercando di stimolare entusiasmo, curiosità. Perché locandinavo con piacere. Mi sembrava di lavorare per qualcuno per cui tifavo: il regista X, la compagnia Y… e anche quando non mi piaceva ciò che attaccavo con lo scotch, sapevo quanto lavoro c’era dietro, a quelle opere, quanto impegno; e quanto sia sottopagato quel tipo di teatro (perché, ricordiamolo sempre: Panariello costa almeno 10.000 euro, mentre i migliori in Italia del teatro d’avanguardia, quelle cifre se le sognano la notte! Ecco, un altro dei motivi per cui non c’era Paolo Rossi! Faccio un altro esempio col Festival di jazz: l’anno scorso, per avere un nome noto alla gente – non solo ai jazzofili poiché, come si sa, il jazz è settoriale per natura, per gli stessi equivoci di cui sopra, anche se partendo da altre premesse – volevamo Alex Britti, perché è comunque un discreto chitarrista blues. Non ci sembrava, insomma, una marchetta! Bene: Britti voleva – così, spiegando e informando, vi potete fare un’idea un po’ più precisa, cosa che dovrebbe fare il Comune, invece di fare esercizi di democrazia! – e  da solo, lui e la sua chitarra, 20.000 euro. Per intenderci, quasi il doppio dell’intera manifestazione. OK?!).

Insomma: poca curiosità, signori D, non vi pare??!! Ma anche solo per parlarne male con più cognizione di causa, in 20 anni (20), non potevate andare a vedere uno (1) spettacolo di Inequilibrio?  Magari, consigliati da qualcuno che li apprezzava già, in modo da non partire subito dal difficile, come si dice in gergo. Ma si sa, lo scrivo qui e l’ho scritto anche altrove: i castiglioncellesi amano l’imitazione dello zombie! Siapotemkin_locandinamo veramente il massimo del minimo. Non reagiamo. Io aspetto ancora il meteorite sopra il nostro capo per capire se qualcuno si sposterebbe! Poi c’è il problema che in una provincia è più complesso far attecchire qualcosa che sia reputato strano per sentito dire: se qui vado a giro con la parrucca verde, vengo additato come un cretino; basta che vada a Firenze e sono solo un tipo curioso;  a Roma, nessuno mi noterebbe (invece, sarei un cretino in tutti e tre i casi!). Così come, al contrario, nelle grandi città ormai tutto può passare per cultura, e ci si ritrova a disquisire dell’arte insita in un bidet al  vernissage del sabato, per poi scoprire che quello è solo e semplicemente un bidet, utile per le chiappe! Un problema, un equivoco anche questo; ma non addentriamoci dentro di esso. Basta capire che anche in questo caso sarebbe sufficiente stare un po’ nel mezzo, no?! E ricordare che grandi realtà del teatro d’avanguardia non sono nate solo a Milano o a Roma ma, come molti sanno, anche a S. Arcangelo di Romagna.

Allora ribadisco: vorrei fare un incontro. E sarebbe molto bello se le parti in causa fossero state loro a proporlo, da tanto tempo; o che, ora, lo proponessero, stimolate dalle mie parole, che rappresentano solo un segnale per qualcosa che è evidente da sempre: insomma, non sono io che sono un grande osservatore! La realtà è molto visibile; ho soltanto raccolto, semplificandoli, due punti di vista scioccamente lontani fra loro. Non lo so – e vorrei chiaramente essere smentito – ma penso che, come si dice in provenzale, non mi cagheranno nemmeno di striscio. E  se così sarà, allora farò in modo, per come mi sarà possibile, di combinarlo io, ‘sto benedetto incontro, per porre le parti in dialogo. En attendant un po’!

 

 

VILLA CELESTINA: UNA VOCAZIONE NATURALE da comprendere (ovvero: “Curtura & Vaini”)

Tremonti disse, qualche anno fa (ma sembrano millenni): «Con la cultura non si mangia». Detto in Italia – che, da sola, ha circa la metà del patrimonio Unesco – è comicità involontaria; ma, tant’è. Eppure è sempre attuale: rappresenta sia un credo popolare sia un dogma quasi certo per imprenditori e amministrazioni. Villa Celestina, nelle intenzioni del  progetto NOVECENTO che la comunità Ranauottolo caldeggia, sarebbe un bastione che unisce cultura, divertimento, rientro economico e fruibilità per i cittadini (si tratterebbe di secolarizzare in un museo tutte le glorie passate del luogo e a partire  – ma non necessariamente – da quelle, creare iniziative, cicli stagionali, progetti da coltivare): un progetto non propriamente culturale, ma paraculturale sì. Affronto dunque, qui, il nesso fra ciò che è considerato remuV Celesoldina.jpgnerativo e ciò che è percepito come una destinazione d’uso culturale. E schematizzerò in tre posizioni, semplificate, tre diversi tipi di imprenditori alle prese con l’eventuale affare: a) il tremontiano convinto; b) il tremontiano per necessità e realismo; c) l’antitremontiano ma cinico. Ci vorrebbe una d), che descrivesse la figura del mecenate, l’imprenditore illuminato. Ma non lo possiamo prendere in considerazione, a occhio!

Il termine cultura è più ambiguo, ormai, di una drag queen. Con esso si intende ciò che VIENE PERCEPITO come tale: un museo, una mostra, un film palloso, una conferenza. Poi, magari, l’ipotetica conferenza è sul traffico urbano, che poco c’entra con la bellezza, gli stimoli, l’espressione umana creativa in tutte le sue forme – questo, penso, sia ciò che è cultura. Oggi va di moda la degustazione nelle aziende vitivinicole: bene, è cultura; va di moda il trekking: è cultura; non lo è solo il cinema iraniano con sottotitoli in slovacco! Ma la percezione è un po’ questa. Chiarito – da parte mia – cosa si debba intendere per cultura. Userò questo termine, per quanto logoro.

E spesso questa cattiva percezione non dipende solo dall’utente (che è pigro e non comprende che coltivare lo spirito è la via per una vita dolce e sincera) ma anche da chi offre un servizio culturale: l’addetto ai lavori cade nell’errore di trincerarsi, di pensare che venga a mancare la… cultura, se la comunicazione è semplice; se c’è troppa gente; se si viene incontro all’utente. Beh, al Capodanno musicale di Vienna non sarebbero molto d’accordo! E nemmeno agli Uffizi o a Venezia! E Mozart si farebbe due risate: lui stesso andava a vedere, divertendosi come un matto, le parodie delle SUE stesse opere. Però, è nata già da qualche anno in Italia una figura imprenditoriale (c) che in maniera troppo cinica HA COMPRESO che la cultura ne fa fare eccome, di soldi, ma trasformandola del tutto in un prodotto, snaturandola : basti pensare a tutte le mostre che hanno nel titolo un nome come Van Gogh o Picasso (i quali attirano – bontà loro – le folle) per poi andarle a vedere e scoprire che, di Picasso, ci sono solo un paio di stampe! Se c’è l’inganno, che cultura è?! Eppure, mi tocca affermare che c’è anche del meritorio in questa fusione fra Arte e Mercato; il curatore di mostre Goldin quando lavorava a Treviso o la politica del Palazzo blu a Pisa, con dei barbatrucchi, portano e hanno portato secchiate di gente a vedere quadri, invece che far fare loro la processione all’Ikea.

Fa da corollario a tale confusione percettiva un’altra figura (b): è d’accordo con Tremonti, ma se ne dispiace. Ha imparato a pensare che promuovere la cultura non fa girare soldi. In parte è legittimato: si trova davanti molti esempi che glielo fanno pensare. Però, non pensa a  Étretat, una località di mare francese con scoglioni e spiaggia, il cui turismo (di livello continentale, almeno) è COMPLETAMENTE incentrato sul fatto che Monet ne abbia ritratto, un secolo fa, i paesaggi; non pensa, senza fare altri esempi, che con UNO SOLO dei patrimoni storici di Castiglioncello  – scegliete: i reperti etruschi; la pittura macchiaiola; il mondo della Dolce Vita, “filiale” di quella romana, e del cinema; andate avanti voi! – si creerebbe (se ben organizzato) un turismo continuativo anche in Lapponia. Quindi, bisognerebbe concentrarsi sul business ben fatto piuttosto che sul tipo di business sicuro. Tento di spiegare la differenza. Il business ben fatto  è sicuro, senza per questo cedere il passo a ciò che è sicuro in un dato momento: la SPA (Villa Celestina è troppo piccola per una SPA, ma capisco chi la cita), la Talassoterapia, il paventato da alcuni Casinò; certamente  potrebbero essere realizzati bene: altrettanto ben fatti. Infatti, business sicuri non vuol dire per forza mal fatti: vuol dire solo che hanno come punto di partenza ansiogeno il fare-soldi-da-subito-e-tanti. I business sicuri, in questo senso, sono soggetti al tempo.

Urge una piccola e semplificatissima analisi socio-economica, allora. Oggi esiste ancora  1) una generazione (massimo due) che può godere dei privilegi del proprio lavoro di una vita e, ora, vuole solo rilassarsi (non vuole nemmeno sapere come si chiama il proprio massaggiatore, basta che massaggi!), o 2) il lavoratore dal ceto medio, all’alto, all’altissimo che sta bene economicamente – ma è un alienato. Ancor più della prima casistica, legittimamente non vuole sapere niente di Arte povera, bambini che muoiono e concetti superiori al cocktail reiterato: vuole solo rilassarsi. Talvolta, anche con una pillola sintetica di cultura, come il broker che fa la passeggiata con la guida escursionistica mentre uno accanto gli recita Dante (non è un esempio iperbolico: è un format esistente); egli vuole dimenticare che tornerà a gestire denaro, avrà responsabilità, penserà a una conference call tutto il giorno. Le SPA e tutte le …-terapie esistono perché rispondono a queste fasce sociali, a questi tipi umani, semplicemente perché queste fasce e questi tipi esistono. Ma sappiamo che il futuro non vedrà questo scenario: ci sarà la persona che vivrà di lavoro flessibile (e ha bisogno di un relax altrettanto flessibile: non di un oggetto statico e costoso); ci sarà una forbice fra benestanti e gente-che-s’arrangia più larga di quanto non sia ora (e il super-benestante, se deve scegliere, non sceglie Villa Celestina-SPA o business sicuro che sia: sceglie direttamente il massimo e va a Dubai, o in Italia, ma dove c’è lusso ovunque, non in un posto solo. Mentre chi si arrangia, la SPA la vede in cartolina; al massimo, può andare a Ferrara a vedere la Spal giocare). Ecco il punto focale che non coglie né l’imprenditore che non crede nel binomio cultura/soldi, né quello che ci fa soldi snaturandola, né quello che vorrebbe promuoverla ma sa che la realtà è crudele: i business sicuri, quelli per cui il ritorno di denaro è immediato, sono costretti – come le attrici di oggi – a rifarsi il ritocchino, ogni volta che il relax assume nuova forma.

E quante forme, quante trasformazioni sono già accadute, quando bisogna creare una circolazione di persone e, perciò, di denaro! Ci sono stati gli anni in cui il must erano le balere, sostituite poi dalle discoteche anni Settanta che, a loro volta, hanno saputo rigenerarsi in altra forma negli Ottanta (il Ciucheba ‒ ricordo ancora una classifica sulle discoteche più importanti d’Italia, apparsa su Panorama, mi pare ‒ era all’ottavo posto: Abatantuono, Calà, Zero, davano lustro a quel centro di divertimento). Poi, col New Age, gli anni pazzi dell’aromaterapia, cromoterapia, qualcosaterapia; la meditazione adattata per l’Occidente (che oggi ha assunto le sembianze del Mindfulness; poi, chissà come ci avvicineremo alle nostre sensazioni più recondite, come carezzeremo il nostro Io, domani l’altro!); le varie Montecatini Terme che hanno lasciato il passo ai centri termali in cui l’agio viene ancor prima del fatto che le terme siano naturali o meno; e oggi, il termine “SPA” domina incontrastato il contenitore del riposo che ogni lavoratore si merita. Domani, ci sarà qualche altro status symbol del relax, che prenderà il posto di ciò che oggi lo rappresenta.

Sempre a inseguire, insomma: che fatica! Mai rinnovare, creare, partendo da ciò che c’è già! Come i localetti che puntano sulle band alla moda invece che coltivare un progetto, una proposta affine a quel che si sente. Ma se invece il localetto ha il gestore che ama veramente il folk (ad esempio), questi saprà aspettare, non avrà paura che la gente all’inizio manchi: pian piano, si creerà uno zoccolo duro di aficionados e il gestore avrà creato un piccolo cult attraverso il proprio locale. Con in più, la soddisfazione di attirare nel proprio locale coloro che amano le sue stesse cose! Un buon esempio ce l’abbiamo a Castellina, col Papacqua: ci si può suonare per davvero, bere vino in modo industriale, e poi trovarsi a leggere una poesia dopo aver bestemmiato; perché Dario del Papacqua (per chi lo conosce) è così per davvero. Perché non bisogna scordarsi mai che non si dovrebbe snaturare ciò per cui qualcosa è bello, o interessante. E Castiglioncello è bella per quello che è (sarebbe!), non perché potrebbe diventare una nuova piccola Rimini, una nuova Forte dei Marmi, una nuova Porto Cervo: c’è già, un’identità! Va solo valorizzata senza paura che ciò non porti ricchezza. Oltretutto, questa posizione che sto cercando di esprimere vale per Villa Celestina come epicentro di qualcosa di più ampio che riguarda tutta Castiglioncello; nella quale, saranno stra-benvenuti i business sicuri, come il già citato Ciucheba: quello, è giusto che si rinnovi in base al mondo (purtroppo, il Ciucheba non fece in tempo ad attualizzarsi: i decibel gli furono fatali, e questo è agli atti! Di un notaio, per la precisione, se non sbaglio). Perché è un’idea che diventa un luogo! Ma dove c’è già un luogo che ha per sua natura un’idea dentro, perché estirpargliela di dosso?!

Insomma, gli imprenditori e le amministrazioni prendano coscienza del fatto che se ragionano per il giorno dopo e non in prospettiva, continueranno a vedere in Villa Celestina una patata bollente da pelare una tantum; e, soprattutto, che non faranno della poesia gratis, se destineranno l’edificio a una circolazione culturale, a un luogo in cui ai castiglioncellesi, nel giorno più buio di febbraio, può venire voglia di passarci del tempo. Questo, porta ricchezza – no, non parlo di quella spirituale! – in modo continuativo, per tutti, e con un’attitudine naturale alla flessibilità, poiché se in un inverno ci sarà un ciclo di corsi su… la talassoterapia! e una stagione musicale dedicata alle grandi colonne sonore, l’anno dopo ci sarà qualcos’altro. E ferma, solida, la pagina di Storia che è stata Castiglioncello da quando è nato, di fatto, come paese a tutti gli effetti: da Martellli ai macchiaioli, da Pirandello a Tofano, da Mastroianni a Il Sorpasso a Mina a Laver alle sceneggiature (qui, sono state scritte!) di Suso Cecchi D’Amico, a Zero e Enzo Trapani; tutti insieme, da visitare, studiare, come fonte d’ispirazione; non, come tristi ombre di ciò che non siamo più come paese.

Una soluzione che sarebbe ovvia, in altre nazioni, ma non qui – qui, in Italia, così abituati al nostro cibo, alle nostre bellezze, che non capiamo che abbiamo davanti a noi un petrolio non destinato ad esaurirsi: e qui nello specifico, a Castiglioncello, dove fa la sua parte pure una certa diffidenza diffusa, una certa spocchia figlia dei “bei tempi”, una mancanza di curiosità generata dalla sfiducia nei confronti di un progetto complessivo per il paese (se vogliamo dare una data di comodo all’origine di tale sfiducia, si potrebbe chiamare in causa il tentativo non andato in porto, nei Sessanta, di diventare Comune a sé, proprio quando il luogo godeva di una luce propria, non riflessa e affievolita  come quella di adesso).

La sintesi – che vale per tutto e sembra un’ovvietà, fino a scoprire che non lo è quasi mai – è che la differenza la fa non il cosa (cosa porta soldi? Cosa ci si fa, lì?!), ma il come (come lo si fa; come si portano soldi); altrimenti, ogni volta che il budget è lussuoso, dovrebbe venir fuori qualcosa di remunerativo, e ogni volta che il budget è basso, qualcosa di bassa lega; ci sono fin troppi esempi in tuti i campi per sapere che non è così. La differenza la fa il gusto e la comprensione di quale sia la vocazione di una persona, di un edificio, di un luogo. E la vocazione di Villa Celestina (fin dalla sua architettura, esempio dell’estetica razionalista) è di rappresentare il Novecento – il nostro Novecento – perché uno dei futuri del turismo è comprendere che c’è più distanza reale fra il 2016 e il 1988 che non fra il 1988 e il 1900: nel primo caso, un’epoca è finita e ne è iniziata un’altra. Il Novecento è già archeologia: è diventata Storia da illustrare, osservare, apprezzare.

Una volta compresa questa vocazione, Villa Celestina potrà essere un luogo di aggregazione della gente – non per episodiche mostre, corsi, o assemblee; ma per cicli progettuali di divertimento e cultura, stagioni aperte a più canali: teatro, cinema d’essai, happening; pensate solo a un’apertura settimanale per un aperitivo – e nomino una cosa che personalmente mi fa cacare! – sulla terrazza, con quel panorama (un bar c’è già, non va costruito): l’aperitivo dei castiglioncellesi, e di chiunque voglia condividere qualcosa da bere e un po’ di musica, per parlare, per sfottersi: un ritrovo che non appartiene a nessun locale perché apparterrebbe a tutti! Castiglioncello è un luogo sospeso nel tempo proprio perché non vuole rendere Storia il proprio passato recente; e soprattutto perché, per via del suddetto passaggio epocale, il passato recente è al contempo già lontanissimo.

Vicinissimo e lontanissimo (far away so close!): Walter Benjamin, un grande pensatore della prima metà del Novecento, descriveva la natura dell’aura – quella specie di magia che emana da una statua greca, quella evocazione misteriosa delle opere d’arte uniche – come ciò che era al contempo lontano e vicino: proprio le stesse caratteristiche di quel che aleggia in mezzo a noi e non vogliamo far diventare Storia. Di più, non si dovrebbe poter desiderare.

PS E il tutto costerebbe anche meno di ogni altra scelta! Andrebbe riempito, l’edificio, non rifatto (se non in modo non strutturale, al suo interno, per dare agio al carattere del progetto in questione)- tanto per chiudere con una nota pragmatica.

 

VILLA CELESTINA: una proposta per risolvere due problemi in una volta sola (e stare meglio!)

NOVECENTO: una proposta per rendere Storia il nostro Passato glorioso, per poterlo ri-apprezzare e non esserne più “ossessionati”; e dare una destinazione definitiva a Villa Celestina, trasformandola 1) in un luogo che porterà profitto continuato nel tempo e 2) una centrale di svago, divertimento e cultura (nel Presente!) per Castiglioncello.

Se Villa Celestina (come è auspicabile) tornerà al Comune, si porrà di nuovo il problema della destinazione d’uso. Un bene, che torni al Comune, perché non va snaturata la natura turistica dell’edificio; ma, di fatto, questa natura turistica paventata non è mai diventata realtà (e andrà pretesa: bisogna far capire al Comune che non può essere un luogo importante solo se ti sta per scappare di mano!). Dunque: ipotizzando che Villa Celestina torni “nostra” io ho chiamato NOVECENTO la mia idea al riguardo, affinché il termine nostra lo si possa pronunciare senza virgolette (ovvero, che-%2017-NOVECENTO.jpg diventi nostra, della gente, sul serio!). Eccola!

Una proposta che vuole risolvere due problemi in una volta sola: primo, la destinazione, appunto, per l’edificio – mai chiara e mai chiarita – e secondo, una specie di cordone ombelicale che Castiglioncello si porta dietro da troppo tempo: il suo passato glorioso. Questo passato ha creato (semplificando) due blocchi contrapposti: chi si è scocciato de Il sorpasso e chi si sente ancora parte di quel patrimonio e, perciò, lo difende.

Io penso che tale passato (non solo quello della “piccola Dolce Vita” con i film, Panelli, Mastroianni, Sordi, Cecchi D’Amico; ma anche quello in generale di una forma di villeggiatura che adesso può essere studiato come un pezzo di Storia, o della fase matura dei Macchiaioli, cioè la “Scuola di Castiglioncello” ) sia un patrimonio eccezionale; ma che, continuando ad aleggiare senza essere posto in luogo dove poterlo apprezzare, finisce per bloccare il presente di Castiglioncello in una nostalgia senza via d’uscita.

Se il luogo dove porre tutto questo splendido mondo fosse Villa Celestina, esso potrebbe finalmente esser visto come una pagina della nostra Storia di cui essere orgogliosi; continuerebbe a fruttare come forma culturale d’interesse – una cosa in più oltre al lungomare, al museo etrusco, alla torre medicea – e la Villa Celestina avrebbe la sua destinazione d’uso, solida nel tempo. E una volta istituzionalizzata la gloria del passato, smetterebbe di essere come un fantasma che, per troppo splendore, si è fatto ingombrante.

Si tratta di fatto di un Museo del Novecento (tuti i caratteri peculiari di questo passato riguardano il secolo scorso: la villeggiatura, la Dolce Vita, i grandi uomini di Cinema – il cinema in quanto tale è un fenomeno novecentesco – e i macchiaioli che, con il mix originale di sguardo sulla natura e tracce espressionistiche, porta l’Ottocento pittorico italiano nel Novecento). Ma la parola museo non va interpretata come qualcosa che stia lì, fermo. Sarebbe solo l’occasione di dare alle foto con Celentano, Laver o gli Harlem Globetrotters, o al bellissimo pezzo di muro al bar del Tennis in pineta dipinto da Enzo Trapani, alle sceneggiature di Suso Cecchi D’Amico, a documenti dell’epoca, alle opere in legno di Panelli, a qualche opera macchiaiola, la possibilità di far avere una visione d’insieme di ciò che ha rappresentato Castiglioncello; ma da qui, potrebbero nascere molte iniziative, più o meno legate al tema dell’edificio (o anche slegate): concerti, serate, conferenze, occasioni di teatro, di divertimento, aperitivi non necessariamente culturalizzanti!

La sala conferenze si presterebbe benissimo, oltre che per le conferenze come da nome (e potrebbe anche essere il luogo dove i cittadini si confrontano e dicono cosa va e non va: come un appuntamento mensile, ad esempio) a serate musicali o teatrali (anche d’inverno), a delle proiezioni speciali aggiungendo uno schermo a mo’ di piccolo cinema (quanti cicli potrebbero essere organizzati! Ora come ora, per vedere un film d’essai – che sarà anche il desiderio di una minoranza, ma che esiste –  ormai non basta più nemmeno andare a Livorno; bisogna andare almeno a Pisa o a Pietrasanta).

Villa Celestina: il Novecento in purezza, sul quale edificare un po’ di vita, un po’ di aria fresca per Castiglioncello.

Micro Macro COSMI per LA SOTTILE LINEA ARSA

caert4L’ottava collettiva de La sottile linea arsa ruota attorno allo spazio in più sensi: lo spazio primigenio è il nido, la casa come protezione; è home ed è house; si può allargare in paesaggio, in piccolo mondo, in costruzione di città, fino a un vero e proprio macrocosmo.

Ma è anche l’approfondimento di alcuni mondi particolari, come quello degli emarginati, del confine fra normalità e follia, senza però evitare un’ironia tagliente e  – si passi il termine senza pensare ai cani o alle foche, si faccia questo sforzo di concentrazione! – letteralmente giocherellona. Ed è studio del volto: il volto come paesaggio, geografia esteriore di ciò che celano (o malcelano) gli occhi.

I protagonisti sono Daniela Maccheroni con oli, chine, sculture ed esuberanti cappelli; Paolo Quaglierini con – mi butto per definirli – concetti visionari in scatola e acrilici; Umberto Tani con oli; Massimiliano Amari con il fimo il quale, cotto a forma di tassello da mosaico, diviene microscopica tela per minuscoli e precisi arabeschi. Dal 1 settembre al 12, con ingresso libero; orario: tutti i giorni dalle 17.00 alle 21.30.

Si tratta dell’ultima rassegna prettamente artistica (poi prenderà il sopravvento l’artigianato) di questo progetto, partito a inizio giugno così come un sassolino che rotola e non sa dove arriverà. Come punto d’arrivo, segnalo una sensazione vicina a un soffice e inquietante manto erboso. Un saluto; as always, il primo sabato della nuova mostra sguinzaglia l’ennesima festicciola per i nuovi artisti in pista, in piazza della Torre, dalle 19 30, con musica dal vivo, bere, mangiare y calor.