Nell’occhio del ciclone siamo noi, adesso; così pare. A Castiglioncello cade un pino, per il resto si segnala la solita sedentarietà mentale; invece Solvay è stata notevolmente danneggiata dal clima: molti, i pini caduti , molti i danni. Oltre a ciò, ultimamente Solvay ha ricevuto l’interesse di varie testate per la vetusta questione delle spiagge bianche , unita a quella della moria di pesci, che coinvolge Solvay in quanto industria. Infine, aleggia ambiguamente, pericolosamente su questa cittadina la faccenda del rigassificatore. E accanto a noi la bellissima, beloved, rude e zozzonobile Livorno in lutto a causa delle esondazioni.
I – Partiamo proprio da Livorno: è la vicenda di mille lunghezze più grave e gravosa, ma per paradosso ha una spiegazione semplice.
La politica locale regionale e nazionale possono affannarsi a inanellare figure di merda a rotazione, giocandosi la palla sul colore giusto dell’allarme; ma l’allarme arancione viene ormai usato anche se tossisco; e d’altronde, se lo si legge parla anche di pericolo di vita! Quindi? Quindi, come sempre in Italia, tutto è interpretabile, in modo che le colpe possano essere appunto come una palla da giocarsi insieme, perché da una visuale ha ragione l’uno e da una visuale l’altro; il calcio è veramente il nostro gioco preferito! Non c’entra più da molto tempo, il voto: grillini, sinistri, destri, salvinini, tutti giocano a questa forma di calcio imbarazzante e senza dignità. Né Rossi né Nogarin né Gentiloni né Gesù in croce hanno parlato del fatto che i tombini a Livorno (come altrove) sono tenuti sporchi da sempre, che delle case sono state costruite dove non doveva accadere, che un rio asfaltato per un tratto è una soluzione da valutare molto ma molto bene; no, hanno parlato di colori dell’allarme.
La verità, dicevo, è tragicamente semplice, invece: nessuno ha posto rimedio a ciò che andava in varie forme rimediato, poiché fin quando fila tutto liscio, sembra quasi di sprecare le risorse, facendolo. Nessuno ha posto rimedio alle speculazioni edilizie partite nella cosiddetta prima repubblica, all’incuria, a ciò che era necessario per questa terra. Ugualmente L’Aquila è stata distrutta NON perché gli esperti hanno sbagliato previsione, ma perché sismicamente non preparata a ciò per cui DOVEVA essere preparata, poiché interessata come sottosuolo a problematiche del genere. Altrimenti sarebbe stata ferita fortissimamente, ma non distrutta. Il problema è a monte, ed è quello che non si affronta mai; si affronta solo la contingenza, che viene fatta affogare nel bicchiere di forma di colpe a valle (“Allarme arancione? Nooo, dovevate dire rosso!”, “Ma l’allarme arancione parla di pericolo di vita!”) invece di quelle a monte: le uniche che potrebbero migliorare le condizioni delle tragedie a venire.
La deresponsabilizzazione è un problema gigantesco: NESSUNO ha detto: “Ok, io sono qui da poco, ma obiettivamente non era all’ordine del giorno pulire i tombini” (che uso come esempio nella sua semplicità, come parte per il tutto). NESSUNO ha detto in regione o a livello ministeriale che uno dei problemi di oggi dell’Italia è riassestare una terra bellissima. Il che, come diceva in tv l’osservatore sociale Castelvecchi ultimamente, porterebbe anche molto e molto lavoro. Non pensiamo solo a Pompei, che è un tesoro preziosissimo ma fatiscente; pensiamo a tutte le zozze Livorno, alle case abusive accanto a “bombe” pronte ad esplodere per via del clima o di un errore umano, ai dissesti lasciati lì a resistere per Divina provvidenza (altro esempio: le simpatiche montagnole di fango che invasero qualche anno fa il messinese).
Vorrei porre qui un esempio virtuoso proprio del nostro comune di Rosignano, a questo proposito. Qualche anno fa non venne fatta la classica mostra estiva al Castello Pasquini. Perché? Boh, in parte mi sfugge. Ma in parte perché quei soldi furono destinati alle scuole di Nibbiaia, sulle quali troneggiava placidamente l’eternit. C’era un’emergenza? No. Ma è EVIDENTE che andava fatto. Sì, c’erano state tragedie sensibilizzanti come quella della scuola in Puglia, d’accordo, ma così si fa; è un piacere poterlo riconoscere. Se avessi un reale pubblico di utenti (!), si saprebbe che spesso sono critico nei confronti del comune; ma non personalisticamente. Perciò è un doppio piacere, per quanto mi riguarda, poterlo scrivere.
II- Veniamo a Solvay nelle sue varie declinazioni e alla nostra zona.
Più complicato, l’affare, perché inerente a scelte che possono esser fatte o meno. Voglio dire, ho cercato di esprimere finora il fatto che le tragedie come quelle di Livorno dipendono dal non voler affrontare ciò che al di fuori dell’urgenza temporanea andrebbe messo a posto; ciò parifica il lutto di Livorno a quello di tante altre situazioni, pur con diverse proporzioni: Livorno è l’Aquila, Norcia, l’Irpinia, Genova, il Vajont; tutte situazioni che hanno provocato morte e distruzione perché non si era fatto ciò che andava fatto da sempre ma che si rimandava ogni volta a domani. Invece, avere o meno il rigassificatore è una scelta; tagliare i pini o meno è una scelta; rimanere passivi o meno rispetto a un’industria dal notevole impatto ambientale è – solo in parte, ammettiamolo – una scelta. Lo è anche credere o meno alle analisi sui pesci trovati morti! Ma ecco che si riaffaccia la fregatura-dell’allarme-arancione (ovvero, lo specchietto per le allodole su cui ci si impelaga, invece di vedere la situazione con distacco e in modo lungimirante): non bisogna fissarsi su tre pesci morti. Allora:
A) La Solvay, finché c’è, sversa in mare l’ammoniaca; non c’è bisogno di neanche una lisca, per saperlo. Non sono più i tempi del mercurio, e l’indotto è sempre troppo alto per liquidare un’industria del genere. Quel che irrita fortemente semmai – per me – è che l’industria non si industri (ah ah) a far qualcosa per la zona che la ospita. Non mi dite del Teatro Solvay donato al comune, poiché è un prestito di una decina d’anni durante il quale il teatro verrà restaurato (e ne sono felice ugualmente, peraltro). La Solvay aveva un impatto culturale enorme, ma ora pensa non ce ne sia più bisogno; ed ha ragione. Risponde a Bruxelles, mica a due castiglioncellesi, tre vadesi e a otto solvaini! Però potrebbe. Quindi mi irrita per la cafoneria con cui è indifferente al luogo, non perché dovrebbe essere sensibile per legge.
B) Le spiagge bianche sono frutto letterale dell’industria Solvay. “Ormai” ci sono e portano soldi; ma in questo caso ciò che non va – e qui c’entra anche il comune – è l’ambiguità con cui si tratta il tutto. Ci sono divieti formali, e poi d’estate sembra un unico gigantesco campeggio zeppo di gente.
C) Il rigassificatore: verrà fatto? Sì o no? Non si sa. Se accadrà, ci vorrà comunque un bel po’. Il rigassificatore fa paura a chi sa le conseguenze che si trascinerebbe dietro, e ne fa di meno a chi sa che c’è già una Solvay, un altro rigassificatore a Livorno o l’etilene a Vada (S. Gaetano), come a dire: “Guarda, siamo già fino al polpaccio nella palude, non fa differenza se si arriva alla coscia. Anzi, in questo modo il complesso industriale è costretto a salvaguardare e far sì che, a cose costruite, vengano mantenuti i vari parametri”.
Visione d’insieme: come l’allarme rosso o fucsia velano i problemi a monte di Livorno ovvero d’Italia, gli schieramenti pro o contro Solvay, pro o contro rigassificatore, pro o contro analisi sui pesci velano stavolta una scelta a monte: QUI è un luogo. Che ne vogliamo fare? QUI è per il turismo o per l’industria? Finché tutto era un po’ separato (la Guerra Fredda funzionava, nella sua barbarie, anche in questo senso), il problema non si poneva: Castiglioncello-turismo-sì e un po’ più elitario, Vada-turismo-sì e più popolare, le colline stanno lì a guardare e ci mangi il coniglio o il cinghiale d’inverno, e Solvay-turismo-no, perché c’è la Solvay. Ma adesso 1 – Rosignano Solvay rivendica legittimamente di poter essere attrattiva a livello turistico; 2 – si è a un livello di sensibilizzazione ambientale che non permette più alle spiagge bianche di fischiettare facendo finta di niente; 3 – Castiglioncello decade già di suo e in più risente della vicinanza con pericoli percepiti (da alcuni anni Rosignano e Castiglioncello vengono assimilate; prima non venivano mai nominate assieme); tali differenze con l’Epoca finita nei ’90 necessitano di una rilettura del QUI.
Rileggiamo, allora: ci sono due grandi industrie, QUI: una autoctona (il turismo in varie forme); e una che risponde a dettami esteri (la Solvay). Secondo me – battagliando contro il rigassificatore se si crede in quella battaglia, continuando ad abbronzarsi alle spiagge bianche etc – l’UNICA scelta da fare è condurre il nostro QUI a una via per cui l’una industria non deve distruggere l’altra. Difficile, che il turismo distrugga la Solvay! La Solvay e l’industrializzazione progressiva della zona (poiché il rigassificatore è faccenda SEPARATA dall’industria: proprio, non le appartiene, anche se ha a che fare con una ditta all’interno del suo complesso industriale) intaccano realmente la bellezza del luogo? Beh, in alcuni punti, sì. Ma nella prima parte di Rosignano Solvay come a Castiglioncello come alle Gorette il mare è bello; da Castiglioncello verso Chioma, addirittura magnifico (per via degli scogli, è una questione biologica: non facciamo campanilismi, ora!).
Ciò che veramente intaccano però è la PERCEZIONE del turista. Il rigassificatore, IN LINEA DI PRINCIPIO, potrebbe essere sicuro come l’amore di una mammina per il figlio: ma il turista che sa di andare al mare accanto a un rigassificatore, come minimo arriva fino a S. Vincenzo saltando a piè pari il QUI. Al turista, se glielo dicono 10 volte al giorno che le spiagge bianche sono bianche chimicamente, non ci va più, a Vada; e nemmeno a Castiglioncello! Perché 7 km sono un po’ pochi, per far credere a magari reali differenze (nel precedente art. di questo blogghettino presuntuoso c’è una soluzione possibile – coraggiosa quanto uovodicolombosa, una volta accettata l’evidenza – al problema: basterebbe ufficializzare le spiagge bianche come “frutto di tempi andati” della Solvay. Diventerebbe un’attrazione ibrida fra la vacanza al mare e l’archeologia industriale, e non sarebbe più ambiguo un divieto che è solo formale. E chi ne volesse fruire come mare, ombrelloni etc, lo farebbe più consapevolmente. Tanto funziona comunque, perché è l’unico posto vicino con larghe spiagge, la dog beach e quel bianco che incuriosisce anche lo scettico).
Perciò, per quanto da una parte ci siano dei cittadini e un comune e, dall’altra, una multinazionale (avete presente quelle belle e retoriche storie americane in cui l’avvocato col vestito sdrucito riesce a battere la Philip Morris in tribunale? Guardate che la situazione reale, QUI, è questa, eh!, se si vuole far qualcosa), senza bisogno di andare nei tribunali, sarebbe stipulare un patto solido a lunga decorrenza per cui la filiale di una multinazionale (ma non solo, ripeto: tutto il progresso industriale della zona, peraltro incoerente con la novella ma legittima “voglia ” di Rosignano d’essere anche turistica) e il QUI si mettano d’accordo per far sì che la prima non distrugga l’altra industria di zona – quella fatta di stabilimenti balneari, di spiagge, di pinete, di mare trasparente, iniziative turistiche – sia realmente sia percettivamente.
Non lo so se è possibile; ma l’oggi pretende una scelta A MONTE (proprio come i problemi che creano morti in Italia) e non solo a valle: possono coesistere il progresso industriale e un turismo che punta molto sulla natura? Forse sì, anche se sarebbe meglio di no; ma bisogna pure essere realistici e provare ad agire rispetto a ciò che ci troviamo davanti, quindi ribadisco il mio personalissimo “forse sì”; ma solo a patto di sciogliere tutte le ambiguità che non permettono nemmeno di rivolgere seriamente questa domanda di coabitazione fra industria con ciminiere e industria con pini, gelati e mare: le uniche due che abbiamo; una esportata, l’altra offerta in dono dalla natura e portata avanti da chi mangia attraverso il turismo. Questo sarebbe un argomento; non tre pesci morti. Come non lo è il colore di un allarme.
Lov Livorno siempre, sei per me una magia d’amore, anche se goffo – così è, così sarà. Sei il mare in cui mi tuffo.